Pietro Orlandi e il suo amico inseparabile
di Mauro Fiorucci
La storia di Pietro Orlandi, classe 2000, ragazzo proveniente dalla scuola calcio dell’Asd Tavernelle dovrebbe essere da esempio per molti giovani calciatori di oggi che giocano al calcio pensando di ottenere la gloria senza sacrifici e magari con qualche “aiutino”. Pietro, già da bambino sceglie come suo migliore amico il pallone, passa giornate intere con lui sul giardino sotto casa e tocca il cielo con un dito quando suo padre Marco e sua madre Marta gli regalano una porta per tirarci i rigori, proprio come quella di Buffon. L’emozione più grande per lui è vedere quella rete che si gonfia proprio come la fanno gonfiare in tv i suoi idoli bianconeri della Juventus. Il suo sogno si avvera a 5 anni quando comincia a giocare a calcio nei “piccoli amici” del Tavernelle, in una vera squadra, con i compagni e il mister. Passano gli anni, Pietro calca tutti i campi della provincia, arrivando alla categoria esordienti e lasciando il segno dovunque passi. Tutti si ricordano di lui, per le sue capacità calcistiche ma soprattutto per la sua umiltà e il suo altruismo. Si ricorda anche il Perugia calcio di Pietro, tant’è che l’entourage di Santopadre acquisisce le sue prestazioni portandolo via da Tavernelle e affidandolo a mister Tomassoli che lo “adotta” per un nuovo percorso stimolante ma pieno di sacrifici. Già, sacrifici, una parola che molti ragazzi non conoscono e non sono disposti a conoscere. Pietro no, Pietro è diverso, pur di giocare e coltivare la sua passione si fa in quattro tra scuola, studio, famiglia e allenamenti. La sua giornata comincia presto, alle 6 passa l’autobus che lo deve portare a scuola, pochi minuti per il pranzo e poi subito a studiare al bar dell’antistadio in attesa dell’allenamento che terminerà in tarda serata. Ogni giorno così, senza mai una pausa. Passano 4 anni, Pietro gioca ancora nel Perugia di mister Petrini, negli allievi nazionali, a dire la verità oggi ha ottenuto la sua prima convocazione nella primavera, ma Pietro non è tipo da montarsi la testa per una cosa del genere, a lui basta passare più tempo possibile con il suo migliore amico: il pallone.
Mister Barbanera, allenatore di Pietro a Tavernelle lo ricorda così: “Pietrino l’ho allenato per 5 anni, cosa ricordo di lui? Tante cose: potrei dilungarmi sui dribbling e i gol che faceva scartando tutti, oppure quando lo mettevo a fare gli uno contro uno con me perché vedevo che con i suoi coetanei si divertiva poco. La cosa che però vorrei rimarcare è l’aspetto umano di Pietro, il suo altruismo quando consolava qualche bambino che non riusciva a fare certi tipi di esercizi e cercava di aiutarlo. Pur essendo molto bravo a giocare e più avanti a livello motorio dei suoi compagni non ha mai fatto “pesare” questa cosa con comportamenti da divo, lui dava lezioni di educazione, rispettava le regole ed era un bambino molto intelligente.” Mister, quale episodio lo ha colpito in particolare di Pietro? “Spesso durante le partite era bersagliato dagli avversari, prendeva botte e spintoni, ma non rispondeva mai alle provocazioni, si rialzava e andava a fare gol. Solo una volta fece una mezza reazione, dopo che per 15 minuti lo avevano preso per un bersaglio. Lo feci uscire e lo rimproverai. Pietro ci rimase male, piangeva per una situazione in cui non ci si era mai trovato ma appena tornati dentro gli spogliatoi mi chiese scusa e mi ringraziò per le parole che gli avevo detto in panchina.”
Questa storia impartisce una bella lezione di vita: per giocare a calcio a buoni livelli occorre tecnica, sacrificio e dedizione ma soprattutto serve una testa dotata di grande intelligenza. Grazie Pietro per avercelo insegnato.